Come gli
animali usano le mappe spaziali per trovare il cibo
GIOVANNI ROSSI
NOTE E
NOTIZIE - Anno XIX – 03 dicembre 2022.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Un problema di
cruciale importanza nella vita degli animali in ambiente naturale è costituito
dal reperimento del cibo e dell’acqua, problema affrontato spesso dagli uccelli
e anche da alcune specie di mammiferi mediante la memorizzazione di mappe
spaziali dove il cibo è stato trovato o dove essi stessi hanno nascosto il cibo
in precedenza. È noto, da vari studi recenti, che gli animali imparano le
traiettorie da compiere per ritrovare il cibo, che costituisce la ricompensa nel
setting sperimentale, sia in un contesto spaziale perlustrativo
che in un contesto relazionale non-perlustrativo.
La scoperta
della base neurobiologica necessaria a compiere queste operazioni impegna da
decenni i ricercatori e, dalla prima scoperta di cellule di luogo dell’ippocampo
alla definizione di un sistema di orientamento nella corteccia entorinale
che si riprogramma in base alla circostanza spaziale collaborando col sistema
ippocampale, è stata percorsa una considerevole via di conoscenza, lungo la
quale sono stati attribuiti Premi Nobel ai maggiori protagonisti di una straordinaria
avventura che ha notevolmente arricchito la schematica visione senso-motoria
del comportamento animale.
Si ritiene che
la riattivazione sincronica dell’attività dell’ippocampo sia critica per il
richiamo e la valutazione delle traiettorie per l’apprendimento. È sorto dunque
questo interrogativo: possono le rappresentazioni ippocampali contribuire in
modo differenziale all’apprendimento dipendente dall’esperienza di traiettorie
attraverso contesti spaziali e relazionali?
Joshua Dudman, con Wang-Chen Jiang e Shengjin Xu hanno cercato e
trovato una risposta a questa domanda.
(Jiang W-C.
et al., Hippocampal representation of foraging trajectories
depend upon spatial context. Nature Neuroscience 25, 1693-1705, 2022).
La provenienza degli autori è la seguente: Janelia Research Campus, Howard Hughes Medical Institute, Ashburn,
VA (USA); Institute of Neuroscience, State Key Laboratory of Neuroscience,
Center for Excellence in Brain Science and Intelligence Technology, Chinese Academy
of Sciences, Shanghai (Cina).
Una questione critica per la sopravvivenza di un
animale è imparare a trovare cibo e acqua per soddisfare il bisogno primario
delle richieste di rifornimento dell’organismo e per ottenere ciò che il
cervello ha associato come piacere al bisogno e che, ordinariamente nella
ricerca, chiamiamo “ricompensa”. Imparare il modo in cui modulare e definire il
comportamento, in modo tale da ottenere affidabilmente risultati o “premi” dall’esperienza,
costituisce la questione fondamentale affrontata da una specifica e nota teoria
dell’apprendimento che va sotto il nome di reinforcement learning theory
(RLT). Il problema diventa particolarmente difficile da risolvere quando le “ricompense”
sono sparse in sedi distanti fra loro e lontane dall’animale, come nei casi in
cui sia richiesta un’estesa e accurata perlustrazione di un grande spazio per
individuare una localizzazione remota di una piccola quantità di alimento, o
quando siano richieste azioni non esplorative, singole o in sequenza, per
ottenere la ricompensa cercata.
L’attività neurale nell’ippocampo dorsale fornisce
ricche e flessibili rappresentazioni dell’esperienza recente relativa alle
associazioni spaziotemporali apprese tra localizzazioni, stimoli e risultati. L’attività
neurale nel campo CA1 dorsale, uno nodo cruciale nel circuito
ippocampale-entorinale, è organizzata in scale temporali multiple.
Le singole cellule principali in dCA1 tendono ad
essere attive in circoscritte regioni dello spazio – cellule di luogo
con campi di luogo – con una propensione ampiamente distribuita per l’attivazione,
che consente efficienti rappresentazioni degli spazi, distinte per ordine di
grandezza (magnitude). In una scala temporale
di secondi, insiemi di cellule di luogo sono organizzati in brevi attacchi di
attivazione quando un animale si aggira attivamente all’interno di un ambiente.
Simili schemi di attività sono associati con dimensioni non-spaziali in compiti
che richiedono all’animale di associare stimoli distinti, tracciare input
sensoriali mutevoli, o misurare il tempo trascorso. In entrambi i contesti, ossia
spaziale-perlustrativo e non-spaziale, queste rappresentazioni dell’ordine di
secondi si ritiene che riflettano una mappa cognitiva, ovvero una
rappresentazione delle relazioni tra stati dell’ambiente.
A questo punto, per aiutare il lettore non specialista
del campo a comprendere la natura e la fisiologia del circuito
ippocampale-entorinale dal quale dipende la formazione e l’uso delle mappe
spaziali necessarie al rapporto con l’ambiente, proponiamo una sintesi del lavoro
compiuto dai coniugi Moser a partire dalla scoperta delle cellule di luogo
da parte di John O’Keefe, come abbiamo
fatto nello scorso mese di marzo, in occasione della realizzazione del
rilevatore di immagini cerebrali funzionali ad alta risoluzione MINI2P[1], da parte
degli stessi Moser (Note e Notizie 26-03-22 Eccezionale invenzione dei
coniugi Moser già insigniti del Nobel).
“L’intuizione
dell’esistenza nel cervello di una mappa cognitiva dell’ambiente da parte di
Edward Tolman è citata da Siegelbaum, Kandel e vari altri
autori, quale primo antecedente documentato dell’ipotesi di lavoro che portò nel
1971 John O’Keefe e John Dostrovsky a scoprire
nell’ippocampo di ratto una speciale mappa cognitiva dello spazio vissuto dall’animale.
Non deve meravigliare, però, che fra i ricercatori l’idea di una rappresentazione
cerebrale dinamica dell’ambiente circolava da tempo. L’osservazione della
rapidità e dell’efficienza dei movimenti dei roditori anche in ambienti nuovi e
le prestazioni di memoria spaziale di uccelli e mammiferi in grado di ricordare
l’esatta localizzazione di nascondigli di cibo o di altri contrassegni
ambientali, avevano da tempo suggerito la possibilità dell’esistenza di sistemi
neuronici specializzati. Grazie al lavoro di John O’Keefe, oggi possiamo dire
che la familiarità di un animale con un particolare ambiente è rappresentata
nell’ippocampo da uno speciale schema di attività nelle regioni CA3 e CA1 di
una popolazione di neuroni piramidali detti cellule di luogo o place cells. Ciascuna di queste cellule
si attiva quando un animale entra nella zona di spazio corrispondente all’area
di competenza della cellula, il campo di luogo o place field. Quando un animale entra in un nuovo ambiente, nel giro
di pochi minuti si formano nel suo ippocampo nuovi campi di luogo, che rimangono stabili per settimane o mesi. Per
queste proprietà, se si registra l’attività elettrica di un numero adeguato di place cells, è possibile ricavarne
l’informazione relativa a dove si trovi esattamente l’animale in quel momento.
In tal modo si ritiene che l’ippocampo costituisca una mappa dinamica dello
spazio circostante. La dimostrazione da parte di O’Keefe della funzione delle cellule di luogo ha fornito la prima
evidenza di una rappresentazione cerebrale dell’ambiente che consente
all’animale un’agevole ed efficace traduzione delle intenzioni locomotorie in
atti appropriati alle caratteristiche dello spazio. Questa mappa cognitiva non è organizzata secondo un criterio anatomico topografico o egocentrico,
come la somatotopica del tatto sulla superficie della corteccia cerebrale, ma è
una rappresentazione che si può definire allocentrica,
essendo fissata ogni volta rispetto ad un punto del mondo esterno. In altri
termini, è una rappresentazione dello spazio-ambiente relativa al punto in cui
si trova l’animale.
La mappa
cognitiva ippocampale dello spazio rappresentata nelle cellule di luogo, nei trent’anni seguenti, ha ottenuto numerose
conferme sperimentali ma, sebbene la sua esistenza fosse diventata una nozione
consolidata nella didattica, rimaneva un mistero come facesse questa popolazione
cellulare a conoscere le informazioni spaziali necessarie alla sua funzione. In
altri termini, non si riusciva a capire in che modo la mappa si costituisse,
quale tipo di informazioni spaziali e in quale modo giungessero a queste regioni
dell’ippocampo.
Nonostante
l’impegno di molti ricercatori, si continuò a brancolare nel buio fino al 2005,
quando Edvard I. Moser, May-Britt Moser e colleghi
accesero una luce straordinaria con la scoperta di un nuovo sistema cellulare organizzato
come una griglia che mappa lo spazio
nella corteccia entorinale mediale secondo un criterio del tutto diverso[2]. I
neuroni scoperti dai coniugi Moser, detti cellule griglia o grid cells, compongono con i loro assoni la via perforante diretta all’ippocampo, e, a differenza delle cellule di luogo ippocampali che si
attivano solo quando l’animale è in una singola e specifica localizzazione,
scaricano ogniqualvolta l’animale è in una di varie posizioni regolarmente
spaziate a formare una griglia o grata a maglie esagonali. Questa grata consente al cervello di localizzare
il corpo cui appartiene all’interno di un sistema di coordinate cartesiane
proiettate sul suolo dell’ambiente circostante, ma indipendenti dal contesto,
da elementi distintivi di un territorio o contrassegni caratterizzanti un luogo[3].
Le informazioni
spaziali codificate dalle grid cells, secondo
il criterio della griglia nella corteccia entorinale mediale, sono poi convogliate
all’ippocampo dove sono elaborate nella chiave di singole rappresentazioni
spaziali corrispondenti all’attivazione delle cellule di luogo.
Ogni dato
ambiente, per gli animali studiati e presumibilmente per la nostra specie,
trova corrispondenza in una particolare configurazione
di attività della specifica popolazione di cellule ippocampali, ossia è
rappresentato in un firing pattern che, una volta costituito, è
stabilmente conservato. Come? Questo problema di memoria ha impegnato a lungo i
ricercatori: poiché le cellule di luogo o place
cells non sono altro che i neuroni piramidali sui quali da decenni si
studia il potenziamento di lungo termine (LTP), la principale base cellulare
della memoria che si conosca, si è ipotizzato un ruolo dell’LTP nella conservazione
della memoria della configurazione di
attività corrispondente all’ambiente.
La verifica di
tale ipotesi ha richiesto esperimenti con topi mancanti della subunità NR1 del
recettore NMDA, necessaria per il potenziamento di lungo temine dell’attività
sinaptica dei neuroni piramidali. Gli esperimenti, sorprendendo i ricercatori,
hanno mostrato che i neuroni piramidali ippocampali, nonostante il blocco
dell’LTP, ancora si attivano secondo campi
di luogo. In questi topi mutanti, però, i campi di luogo risultano più espansi e meno precisamente delimitati
nella sagoma dei loro confini rispetto a quelli dei topi normali. In un’altra serie
di esperimenti con topi mutanti si è cercato di verificare l’importanza della
fase terminale del potenziamento e della memoria spaziale a lungo termine. In
tali ceppi murini l’espressione di un transgene che codifica una proteina
inibitrice della proteinchinasi A,
selettivamente elimina lo sviluppo della fase tardiva dell’LTP e della memoria
dello spazio di lunga durata. Anche in questo caso i campi di luogo si formavano ancora, ma le configurazioni di attività (firing patterns)
delle singole cellule di luogo
duravano all’incirca un’ora e poi andavano perdute.
Su questa base
si è dedotto che l’LTP tardivo non è richiesto per la formazione dei campi di luogo, ma è indispensabile per
la loro stabilizzazione a lungo termine.
Un filone più
recente e affascinante di indagini è quello che, con numerosi lavori, ha
affrontato il problema dei rapporti fra la struttura funzionale delle mappe
spaziali ippocampali e le basi neurali della memoria esplicita o dichiarativa
tipica della nostra specie.
Nell’uomo, la
memoria esplicita può essere definita come la rievocazione cosciente di fatti
relativi a persone, luoghi ed oggetti. Nei topi non è possibile studiare la
coscienza (coscienza di ordine superiore,
secondo Edelman), pertanto si è eletta come equivalente l’attenzione selettiva, funzione indagabile nel topo ed attiva
nell’uomo durante la rievocazione cosciente. Gli esperimenti condotti secondo
questa impostazione hanno dimostrato che la memoria a lungo termine di un campo
di luogo stabilmente conservato nell’ippocampo non è una memoria implicita
costituita e usata automaticamente, ma richiede l’intervento di processi di
specifica attenzione all’ambiente, che possiamo ritenere equivalenti della
nostra rievocazione cosciente.
Come si diceva
più sopra, introducendo l’articolo qui recensito, a fronte dell’esigenza di una
codifica specifica e rapida delle nuove informazioni per un uso efficace,
l’ippocampo e le aree collegate rispondono con sistemi neuronici in grado di
registrare una grande quantità di informazioni non correlate fra loro, fornendo
un ricco materiale di indagine dal quale è stata tratta una considerevole mole
di risultati. I coniugi Moser, per analizzare quanto emerso, hanno preso le
mosse dalle proprietà delle place cells,
delle grid
cells, delle quali si è già detto, e delle border cells, ossia un tipo neuronico che risponde elettivamente al
rilievo dei confini di uno spazio dell’ambiente. Il che in sostanza vuol dire
che hanno basato la loro valutazione sui principi fisiologici che sono stati
desunti dall’attività di queste cellule e dal profilo funzionale che si va
delineando per i sistemi cui appartengono.
In estrema
sintesi, la concettualizzazione di quanto osservato dai Moser può così schematizzarsi:
1) le “cellule a grata” o griglia o grid cells forniscono l’ippocampo di un sistema metrico altamente specializzato,
ma anche di un probabile meccanismo che realizza una separazione o de-correlazione
di rappresentazioni;
2) la formazione di “mappe di luogo”
(place maps)
specifiche per l’ambiente dipende da meccanismi di plasticità a lungo temine
delle sinapsi ippocampali;
3) l’immagazzinamento di memorie
spazio-temporali a lungo termine
dipende da processi di consolidamento che avvengono offline e sono associati ad una specifica attività elettrica
ippocampale (sharp-wave ripple) da
tempo correlata a questo processo;
4) l’enorme quantità di rappresentazioni,
generate dalle interazioni fra una varietà di sistemi cellulari funzionalmente specializzati del circuito corteccia entorinale-ippocampo, può
costituire il nucleo fondamentale della memoria dichiarativa”[4].
Ritorniamo all’attualità sperimentale del lavoro qui
recensito.
Quando gli animali non si muovono attivamente o sono
addormentati, un esteso insieme di neuroni di dCA1 scarica in brevi eventi
sincronici di tutta la popolazione (SPE) che durano nell’ordine dei 150 ms e
tendono ad essere associati con le SWR (sharp-wave
ripples) nel potenziale di campo locale.
Le SPE riattivano popolazioni di neuroni dCA1 reclutate durante la
perlustrazione attiva dell’ambiente o durante un agire attivo mentre erano codificati
stimoli di compiti non-spaziali. In differenti compiti di memoria e in specie
diverse, gli esperimenti di perturbazione hanno implicato ciascuna di queste
componenti della rappresentazione spaziotemporale di CA1 in aspetti del
comportamento appreso. Le SWR sono state associate con funzioni che vanno dal
richiamo mnemonico, al consolidamento delle memorie e al processo decisionale,
e si ritiene che costituiscano una sorta di lettura compressa di una sottostante
mappa di rappresentazione cognitiva.
Vari studi hanno osservato cambiamenti nelle
rappresentazioni ippocampo-entorinali dello spazio in
prossimità di obiettivi spaziali di ricompensa; questo ha portato all’influente
opinione che l’ippocampo rappresenti una mappa di localizzazioni che possa
essere usata per immagazzinare la collocazione delle ricompense e che tale
mappa possa essere letta mediante la riattivazione di SWR per pianificare future
azioni di ricerca della ricompensa o per consolidare recenti esperienze. Tale
modello fornisce un elegante soluzione per la costruzione di mappe cognitive
rappresentanti la ricompensa sia come una localizzazione in un sito dell’ambiente
sia come uno specifico stato in un ambiente non spaziale, suggerendo la
possibilità di un ruolo universale di computazione da parte delle mappe cognitive
dell’ippocampo per tutti i contesti. In ogni caso, il contesto spaziale di un
ambiente può anche specificare requisiti comportamentali unici.
Eseguire una traiettoria di ricerca perlustrativa di
cibo e una sequenza di azioni non-perlustrative sono comportamenti differenti
che si ritiene possano dipendere da circuiti separabili per ciò che concerne il
loro controllo. Così, sebbene sia chiaro che le rappresentazioni ippocampali in
contesti perlustrativi e non perlustrativi siano simili, attualmente è molto
meno chiaro in cosa queste rappresentazioni differiscano e se forniscano contributi
distinti all’apprendimento dipendente da richieste comportamentali.
Questi problemi sono difficili da affrontare in
chiave sperimentale e, pertanto, gli autori dello studio qui recensito per
superare i principali ostacoli hanno ideato due compiti in cui i topi devono
eseguire traiettorie di ricerca di ricompense in contesti ben distinti:
perlustrativo e non perlustrativo.
Jiang e colleghi hanno esercitato topi a perlustrare
per trovare una ricompensa nascosta in un’arena materiale o ad usare un joystick
per giungere ad un obiettivo virtuale per raccogliere ricompense in un secondo
momento.
Nel contesto perlustrativo, la metodica dell’imaging
del Ca2+ in topi liberi di muoversi ha rivelato che la riattivazione
sincrona della vasta popolazione di CA1 aveva significato retrospettivo
e risultava importante per la valutazione conoscitiva delle traiettorie
perlustrative seguite in precedenza. In un contesto non perlustrativo, la
riattivazione aveva, al contrario, significato prospettico e risultava importante
per l’avvio delle traiettorie del joystick, anche nello stesso animale
esercitato al compito per entrambi i contesti.
L’adattamento alle traiettorie per un nuovo target
era bene espresso da un comune algoritmo di apprendimento in cui l’attività
ippocampale fornisce contributi dissociabili alla computazione dell’apprendimento
di rinforzo, dipendenti dal contesto spaziale.
L’autore della nota ringrazia la
dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle
recensioni di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-03 dicembre
2022
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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484,
come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Si tratta di un vero e proprio gioiello tecnologico che pesa meno di 3g, in
grado di registrare l’attività di oltre 1000 neuroni per volta e può applicarsi
sulla superficie cranica per “vedere” dal vivo in diretta cosa accade nella
corteccia cerebrale di un animale mentre corre, mangia, beve o esplora uno
spazio nuovo. È costituito da un microscopio bifotonico miniaturizzato (MINI2P)
in grado di sviluppare un calcium imaging
rapido, multiplanare e ad alta risoluzione (per
ulteriori dati v. Note e Notizie
26-03-22 Eccezionale invenzione dei coniugi Moser già insigniti del Nobel).
[2] V. Note e Notizie 24-06-06 Neuroni entorinali
aiutano ad esplorare l’ambiente; Note
e Notizie 06-10-07 Griglia esagonale e ippocampo (riporta in calce
l’indicazione bibliografica per esteso dei due lavori che hanno comunicato la
scoperta da parte dei Moser, oltre al riferimento al volume classico di
introduzione all’argomento). Numerose altre recensioni si trovano scorrendo
l’elenco delle “NOTE E NOTIZIE” (dall’11-03-2003 al 10-07-2010 sono rubricate
come “ARCHIVIO NOTE E NOTIZIE” cui si accede dal fondo della pagina “NOTE E
NOTIZIE”).
[3] Gli studi sulle grid cells sono proseguiti ed è stato
dimostrato che la loro attività richiede il segnale neuroni che indicano la
posizione della testa dell’animale, o cellule HD (head direction cells). In proposito si
raccomanda la lettura della recensione della professoressa Richmond: Note e Notizie 14-02-15 Le cellule griglia
hanno bisogno del segnale delle cellule HD.
[4] Note e Notizie 28-11-15 Una
lezione sulla memoria dai coniugi Moser insigniti del Nobel nel 2014.